Due racconti visuali sui muri della città di Biella, tra giugno e settembre 2018, hanno riproposto all'attenzione dei Biellesi il Lanificio Giuseppe Rivetti e Figli di Biella e la Pettinatura Italiana di Vigliano in sei gigantografie e sessanta poster: due grandi aziende – chiuse da decenni – che ai tempi d'oro dell'industria tessile sono arrivate a contare complessivamente oltre settemila dipendenti.
Più, molto più che due aziende: fabbrica a ciclo completo la prima, monumento-simbolo della "Manchester d'Italia", con i suoi fabbricati che si estendevano dall'attuale Stazione dei treni fino a Viale Matteotti; fabbrica – paese la seconda, con il villaggio operaio, la chiesa, il convitto, il cine-teatro, il campo di calcio.
Scegliendo di allestire una mostra sui muri, il Centro di Documentazione della Camera del Lavoro ha voluto aprirsi alla città, innanzitutto, uscire fuori di sé, restituire senza tante intermediazioni ai protagonisti e legittimi titolari di queste storie del lavoro - operaie, operai, tecnici, impiegati, imprenditori, sindacalisti - l'immenso patrimonio raccolto in trentasei anni di attività, ordinato e custodito. E arricchire il corpus delle immagini possedute con prestiti da altri istituti culturali.
Per far questo è stata compiuta un'operazione che si potrebbe definire di disarchiviazione, ovvero sono stati estratti dai faldoni documenti e immagini da tempo infrequentati e muti con l'intento di dare loro una seconda vita, ripresentandoli a tempo pieno, 24 ore su 24, in spazi pubblici. Con l'intenzione e la speranza di recuperare relazioni sul filo della memoria.
Relazioni che ridiano senso ad una storia sociale nella quale la comunità ha mille e mille motivi per ricordare e dare senso a questo tempo che appare estraneo e indifferente a un passato che pure è ancora intorno a noi. Un presente senza memoria non è in grado di immaginare scenari di futuro e mettere in atto strategie coerenti con la propria storia.
Sta qui il significato primo del messaggio affermativo: “Qui c'entro”.
Le immagini esposte sono autentica testimonianza (quello che si vede, è 'vero') di quanto accaduto a Biella nei decenni scorsi.
E stanno dentro queste immagini i legami 'stretti' tra mondo della fabbrica e città, tra cittadini- produttori e luoghi di produzione.
E può capitare che il passante, attratto dalle figure che si affacciano dai poster, si imbatta a tu per tu - come in passato poteva accadere - con persone familiari e personaggi di spicco dell'epopea industriale della città delle fabbriche: l'Oreste Rivetti, il Conte, che a piedi dall'abitazione raggiungeva la sua azienda, “primo ad entrare e l'ultimo ad uscire”. E parlamentari e sindacalisti davanti ai cancelli della fabbrica serrata per impedire licenziamenti. E i fedelissimi del lavoro alla Rivetti. E le immagini del degrado attuale a fronte di quelle in cui la Rivetti era al suo massimo splendore e contava migliaia di addetti. E i cancelli chiusi della Pettinatura Italiana dopo un secolo di attività. E i testimoni del declino e delle dismissioni. E così elencando.
I poster della mostra sui muri sono documenti di un impegno militante, di politica culturale che non vuole e non può concludersi con i decollage delle fotografie.
La mostra sui muri dice che è praticabile, con la partecipazione di archivi pubblici e privati, la formazione di una collezione ben più ampia e più ricca di temi.
Immagini di una narrazione visuale che ha i suoi inizi quando Biella era la “Manchester d'Italia”, città laniera ma anche, è bene ricordarlo, di pionieri della fotografia come Vittorio Sella e altri grandi fotografi.
Una narrazione che oggi manca e che non ha ancora trovato quello spazio della visione e del 'riconoscimento' che le sarebbe dovuto (l'ex Biblioteca civica, perché no?). Non un altro museo ma un Museo 'altro', in grado di raccontare il secondo rinascimento biellese, quello della rivoluzione industriale, ma sia, insieme, un museo in presa diretta con il presente che qui accade e si fabbrica e un osservatorio su scenari di futuro. Uno spazio innovativo, senza oggetti, collezioni permanenti o reperti mummificati ma virtuale, interattivo, interoperabile, incrementabile e implementabile. Un Museo capace di connettersi con le istituzioni culturali biellesi, coi magazine dei prestigiosi marchi, con gli enti che governano le sorti sociali ed economiche del Biellese per acquisire in forma digitalizzata immagini esemplari e comporle in unità narrative organiche.
Un'operazione ambiziosa? Può darsi. Ma oggi auspicabile, necessaria, costretti come siamo a relazionarci con un ambiente fitto di architetture industriali in progressiva e forse ineluttabile o inevitabile fatiscenza. E con le ruspe quale soluzione finale.
Come quelli di Christofer Williams, artista concettuale, anche i poster di “Qui c'entro” sono pensati come lettere aperte ai Biellesi. Lettere che attendono risposte.