Tra il 1912 e il 1913 gli scalpellini della Balma, nella Valle Cervo, svolgono uno sciopero esemplare per tenuta e qualità politica della vertenza. In ballo la richiesta che gli scalpellini assunti siano organizzati nella Federazione degli edili e quindi la proprietà non possa portare mano d'opera esterna in funzione di crumiraggio.
Dunque una questione di potere contrattuale che spiega perfettamente l'intransigenza della proprietà che, tuttavia, non si aspettava una tenuta dello sciopero di 8 mesi e alla fine cede alle richieste sindacali.
In quella lotta furono presenti, come dentro una lente di ingrandimento e con contorni assolutamente netti, lo spirito di classe più indomito, la fame di salario che accomunava la condizione di lavoro ma, allo stesso tempo, una chiara coscienza di classe delle questioni di potere contrattuale in gioco nei conflitti.
Lo sciopero ebbe la durata incredibile di 274 giorni, mise in moto la solidarietà della Federazione degli edili e il sostegno massiccio della Camera del lavoro. Le questioni salariali furono le prime a trovare soluzione ma il nocciolo duro dello scontro si solidificò attorno alla richiesta degli scalpellini dell ripristino di una condizione di favore per cui gli assunti delle cave dovevano essere iscritti al sindacato. Poteva sembrare un apparente privilegio ma, in realtà, toglieva all'azienda la possibilità di assumere crumiri nei periodi di conflitto più acuto, come peraltro avvenne durante la vertenza, quando gli industriali assoldarono cavatori e scalpellini del Lago d'Orta e fra i rimpatriati turchi per spezzare lo sciopero della Balma. Lo sciopero si concluse con la reintroduzione dell'articolo 2 che rimetteva in essere la clausola dell'iscrizione al sindacato di categoria.
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